lunedì 24 agosto 2015

LA CULTURA DEL VINO




L'ACINO CHE VOLA

Vogliamo raccontarvi il vino e lo facciamo iniziando con il perché del nome della nostra rubrica appena nata, precisando però che chi scrive non è un giornalista, ma un Sommelier professionista. Per tanto vogliate perdonare se la tecnica scrittoria non è paragonabile a quelle di chi, per mestiere, mette nero su bianco! “L’acino che vola” perché l’intento è quello di essere leggeri, soprattutto, senza scivolare in tecnicismi e dissertazioni meramente tecniche, vogliamo raccontarvi il mondo enoico senz’altro in maniera dettagliata, ma semplice come bere un bicchiere di vino, alla maniera di Mario Soldati!



“L’acino che vola” perché cercheremo di sfatare tutti i falsi miti, le scorrettezze e le sciocchezze che sempre più spesso circolano intorno al mondo del vino: la Falanghina rossa non esiste, ecco, ve l’ho detto!
Con leggerezza sì, ma consapevoli che il vino è una cosa seria, che merita rispetto, perché quella del vignaiolo è un’agricoltura eroica. 
Innanzitutto, perché se tutto va bene i frutti del suo lavoro, e non solo i grappoli, li vede dopo un anno, poi perché è fatta di tanto lavoro in vigna, di mani secche e nodose, che sanno quando e cosa potare, talvolta spaccate da quelle ferite che non guariscono mai, perché quelle ferite sono le porte della sapienza. Agricoltura eroica perché fatta di attesa della “luna giusta”, di convivenza con la paura della grandine e dei parassiti che, se non ce la fanno loro a vanificare tutto il lavoro di un anno, ci penserà il grosso centro commerciale che ti propone una bottiglia di Taurasi a due euro e cinquanta!


Sia ben chiaro, a conti fatti da produttori, enologi, imbottigliatori, insomma da esperti del settore, valutando tutte le variabili del caso, i costi vivi di produzione e distribuzione, una buona bottiglia di vino non può costare meno di sette euro, fatta salva qualche rara eccezione, per cui sappiate che quando comprate un Barolo o un Amarone a due euro e cinquanta, in quella bottiglia c’è tutto meno che il vino, almeno non quello dichiarato in etichetta! Ma un Barolo o un Amarone sono DOCG, direte voi, come è possibile?
 Ebbene, perché i disciplinari di produzione e la “legge del vino”, purtroppo, sono ancora giovani ed in continuo aggiornamento, un adeguarsi continuo agli eventi ed alla necessità, sempre più urgente, di tutela della qualità costantemente minacciata dagli speculatori sempre in agguato: recente lo scandalo della contraffazione del Brunello di Montalcino che ha portato alla chiusura di un’azienda (che di azienda a questo punto aveva ben poco) e all’arresto dei suoi titolari da parte dei NAS. Va da sé, quindi, che la Denominazione non è garanzia di qualità, almeno non sempre.
Quindi come si fa a scegliere una buona bottiglia di vino se non si è esperti del settore? 
Semplice, evitare di comprarla presso rivendite in cui non c’è il personale qualificato che possa raccontarti la sua storia, quella della bottiglia, s’intende!
Bisogna fidarsi dei consigli del Sommelier, là dove c’è ovviamente o dell’enotecario, e quando si è trovata la bottiglia giusta ricordarne, magari prendendo appunti, almeno il nome del vino e del produttore, dati che vi torneranno utili quando al ristorante vi ritroverete la carta dei vini tra le mani. Purtroppo funziona così, per comprare un buon vino bisogna conoscere i produttori!

Vogliamo raccontarvi il vino perché è cultura, non quella che ti fai a scuola, sui libri, ma quella che si tramanda da generazioni, la cultura intesa come conoscenza delle proprie radici, delle tradizioni e della storia del nostro popolo, ed il vino né è il testimone assoluto, il contenitore indiscusso, e se sai ascoltarlo ti racconta tutto, dagli etruschi sino ad oggi! 
Parleremo di vino, ma lo faremo anche raccogliendo le vostre domande, curiosità, pareri, trattando gli argomenti in base al proprio contenuto, direttamente in maniera “social” interagendo, ove possibile, con domanda e risposta in tempo reale on line,  o col susseguirsi degli articoli.
In questo articolo, il primo, volutamente campanilistico, ci occuperemo della Campania, o meglio, dei suoi vini! Per capirne di più, vi invitiamo a dare un’occhiata a quella che è la “Piramide di qualità” (vedi foto sotto) nella quale si collocano i vini in base alla propria denominazione d’origine, tenendo presente che alla base si collocano i vini di minor pregio, aumentando di valore man mano che si raggiunge l’apice. 


Particolarmente amata dagli appassionati, dagli enologi, dagli addetti ai lavori in genere, poiché la sua base ampleografica, l’esposizione al sole, il giusto equilibrio tra inverno ed estate, fanno si che la coltivazione della vite sia ampiamente diffusa in tutta la regione. Vanta una produzione di indiscussa qualità e pregio tanto da tenere alta l’immagine enologica della Campania nel panorama nazionale e mondiale.
La Campania felix dell’età romana e quella degli etruschi prima di essi, vedeva protagonisti indiscussi i vari Cecubo, Falerno, Faustiniano, ma col decadere dell’Impero Romano ed il passare dei secoli il panorama vinicolo è andato gradualmente modificandosi. I “campioni” cedono il posto ai vari Mangiaguerra, Mezzacane, Lacryma, Coda di volpe di Nola, Piede di colombo (per’e' palummo) del Regno di Napoli, mutando pian piano fino ai nostri giorni.
Nel periodo pre fillossera (argomento di cui senz’altro parleremo nei numeri a seguire) i vitigni a bacca nera coltivati nella regione erano ben 52, 30 invece quelli a bacca bianca. Attualmente il panorama si presenta ben diverso, la cultivar è prevalentemente costituita da Aglianico, Barbera, Sangiovese, Piedirosso, Montepulciano e Merlot per quelli a bacca nera; Fiano, Greco, Falangina, Malvasia bianca di Candia, Manzoni bianco, Trebbiano, Coda di volpe, Asprinio, Biancolella per quelli a bacca bianca.
L’Aglianico, sicuramente il vitigno più coltivato, deriva dalla “vite ellenica” ed è stato introdotto in Italia dai Greci nel 740 A.C., periodo della fondazione di Cuma. Dal questo vitigno si ottiene uno dei vini più importanti del contesto nazionale, quindi mondiale: il Taurasi.


Le DOCG campane sono 4: Taurasi, Fiano di Avellino, Greco di Tufo ed Aglianico del Taburno.
Le DOC invece sono 15: Aversa,  Campi Flegrei,  Capri,  Casavecchia di Pontelatone, Castel San Lorenzo,  Cilento, Costa d'Amalfi, Falanghina del Sannio, Falerno del Massico,  Galluccio,  Irpinia, Ischia, Penisola Sorrentina,  Sannio,  Vesuvio.
Tenendo presente che il mondo delle denominazioni è in costante mutamento, noi senza voler denigrare le DOC e le IGT , anch’esse meritevoli di attenzioni, ci occuperemo, a grandi linee, solo delle DOCG giusto per non cadere il quel tecnicismo di cui parlavamo prima e rischiare di divenire noiosi!

Il Taurasi, tra più pregiati vini del mondo, è  ottenuto dalla vinificazione di uve a bacca nera da vitigno Aglianico, la cui percentuale minima di utilizzo prevista dal disciplinare di produzione è del 85%. Per ottenere la “denominazione” il suo affinamento in botte deve essere di un periodo minimo di 37 mesi fino ad arrivare ai 49 per la versione “Taurasi riserva”.  
La zona di produzione è compresa tutta in provincia di Avellino. E’ un vino che si presenta alla vista con tonalità che vanno dal rosso rubino al granato intenso. Al naso è ampio, spiccano profumi di cuoio, frutti rossi, pepe nero, liquirizia, tabacco. Al gusto è secco, l’alcol si fa sentire, ma i polialcoli riescono ad arrotondare e creare il giusto equilibrio con la tannicità spiccata dell’Aglianico. 
Un vino che si abbina a piatti molto strutturati, grigliate, arrosti, formaggi a lunga stagionatura . La versione “riserva” è ottimo esempio di “vino da meditazione”.
“Taurasi Vigna macchia dei Goti”  Cantine Antonio Caggiano –  in enoteca € 28,00

Il Fiano di Avellino è sicuramente tra i vini bianchi più importanti del panorama italiano e mondiale. Emblematico in quanto, insolitamente per i vini ottenuti da uve a bacca bianca che, per loro natura, non contengono tannino, non è insolito in esso percepirne distintamente le astringenze, da qui il mito del “rosso vestito di bianco”! 
E’ ottenuto appunto da uve a bacca bianca dall’omonimo vitigno ed anche in questo caso la zona di produzione è compresa tutta in provincia di Avellino. Solitamente di colore giallo paglierino,  i suoi profumi sono intensi e molto fruttati, non raro il sentore di nocciola e frutta secca tostata. Al gusto è piacevolmente sapido e si abbina magnificamente a pietanze a base di pesce, zuppe, e persino alla pizza. Interessante nelle versioni passito e spumante!
“Fiano di Avellino Vigna della Congregazione” Villa Diamante  –  in enoteca € 25,00

Il Greco di Tufo segue le orme dei fratelli maggiori, sia in termini di qualità che di zona di produzione. Siamo infatti ancora in un comprensorio in provincia di Avellino ma la sua massima espressione viene proprio dal Paese di cui porta il nome: Tufo, nel cuore dell’Irpinia.  
Il vitigno da cui è ottenuto è il Greco, anche in questo caso a bacca bianca.  I suoi colori variano dalle tonalità di giallo paglierino al dorato. Al naso si percepiscono profumi fruttati e fiori bianchi. La mineralità al palato fa si che sia perfetto abbinamento a grigliate di verdure, tempura, pesci in guazzetto, ed è ottimo per un aperitivo.
“Greco di Tufo Vigna Cicogna” Benito Ferrara –  in enoteca € 18,00



L’Aglianico del Taburno è l’ultima DOCG campana in ordine cronologico, la denominazione di origine controllata e garantita infatti l’ha ottenuta solo recentemente. Il vitigno utilizzato è lo stesso del Taurasi, l’ aglianico. La zona di produzione in questo caso è compresa in provincia di Benevento in un comprensorio di paesi situati tutti alle pendici del Monte Taburno. Rosso rubino, con chiari sentori di frutti di bosco e spezie. Di buona persistenza aromatica si accompagna bene a piatti a base di ragù, carni stufate, cacciagione e formaggi di media e lunga stagionatura.
“Aglianico del Taburno Terra di Rivolta riserva” Fattoria la Rivolta –  in enoteca € 25,00

Curiosità
In vigna, all’inizio di ogni filare di vite, o alternatamente,  c’è sempre una pianta di rose, sapete perchè? Perché i parassiti che attaccano la vite sono soliti attaccare anche le rose. Queste ultime cedono più velocemente agli attacchi del parassita, proprio per questo quando i danni sono evidenti, il vignaiolo ha tutto il tempo per correre ai ripari e salvaguardare la vite!

Acini volanti abbattuti
1) La Falangina è un vino bianco ottenuto dall’omonimo vitigno a bacca bianca*, quella rossa non esiste. Oltre alla DOC Falanghina del Sannio, una eccellente espressione è quella dei Campi Flegrei, anch’essa DOC.
*(si può ottenere un vino bianco anche da vitigno a bacca nera, il procedimento si chiama vinificazione in bianco, molto usata per la produzione di spumanti, magari ne parleremo in un altro articolo)
2) Il Taurasi non è un uva, ma un vino rosso ottenuto da vitigno Aglianico.


Consigli di letteratura enoica

“Vino al vino” di Mario Soldati. Un viaggio lungo un decennio, o poco più, in giro per le campagne dell’Italia degli anni 70. Uno scoprire di luoghi, di uomini e le loro storie di vita vera, vissuta a stretto contatto con la natura in un binomio viscerale uomo-agricoltura. Soldati riesce a fotografare tutto e farne un documentario travolgente, appassionante a tal punto che si legge tutto d’un fiato! Il libro che tutti gli amanti del vino e della gastronomia in generale dovrebbero leggere, un capolavoro assoluto, un vero e proprio amarcord!

Sito consigliato:

Scritto da Edoardo Cioffi, Sommelier professionista A.I.S.

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